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Differenza tra caparra e acconto: significato, normativa IVA e aspetti fiscali

Caparra e acconto, differenza e normativa IVA sulle due operazioni Spesso considerati erroneamente sinonimo, caparra e acconto non sono la stessa cosa. In realtà si tratta di due istituti distinti, ciascuno dei quali segue normative IVA diverse. Ecco perché è importante capire quando possiamo parlare di acconto e quando invece di caparra, e consentire così una corretta gestione fiscale.

Differenza tra caparra e acconto

Quando parliamo di caparra e acconto siamo di fronte a due diverse forme di anticipazioni di denaro, che forniscono garanzie diverse a venditore e acquirente. La prima sostanziale differenza tra le due operazioni è difatti legata all'impegno assunto dalle parti. Con l'acconto il venditore non ha la certezza assoluta che l'altra parte dia esito positivo al contratto e i due contraenti non sono vincolati economicamente uno nei confronti dell'altro. L'acconto prevede la restituzione in caso di esito negativo, e la sola azione che il venditore può far seguire alla restituzione è la richiesta di risarcimento del danno eventualmente subito.

Nel caso di caparra invece si parla di acconto di denaro a garanzia, e sia il venditore che l'acquirente sono vincolati all'adempimento del contratto per non perdere quanto già versato. Nel caso in cui sia il venditore a essere inadempiente, l'acquirente potrà addirittura chiedere il doppio della caparra.

I due inquadramenti originano anche differenti trattamenti fiscali, ai quali è necessario porre attenzione per non incorrere in illeciti e controversie con l'Amministrazione Finanziaria.

Acconto, definizione e inquadramento fiscale

Con il termine acconto viene definito il pagamento parziale o totale anticipato del corrispettivo dovuto per una determinata operazione. Tale importo è soggetto agli obblighi previsti dalla normativa IVA sulla fatturazione. In pratica l'acquirente stipula con il venditore il contratto per la cessione di un bene o un servizio, e paga anticipatamente il corrispettivo pattuito o parte di esso.

Colui che cede il bene dovrà emettere regolare fattura nel momento in cui ricevere l'acconto, provvedendo alla registrazione e al versamento dell'imposta alla scadenza prevista, seguita poi dalla fattura finale nel momento in cui l'azienda effettua la consegna del bene, con l'indicazione del corrispettivo dovuto a saldo.

Se, ad esempio, l'azienda X stipula con l'impresa Y un contratto per la fornitura di alcune componenti elettriche, per un totale di 10.000 euro, e versi al momento dell'ordine un acconto di 3.000 euro. L'azienda venditrice dovrà emettere due fatture distinte, la prima di 3.000 euro nel momento in cui incassa l'acconto e la seconda di 7.000 euro alla consegna della merce ordinata. Entrambe dovranno riportare la quota imponibile e l'IVA. Ma cosa accadrebbe se invece il venditore fatturasse un unico importo di 10.000 euro alla consegna della merce? In caso di controllo potrebbe sentirsi contestare la tardiva fatturazione della somma ricevuta in acconto, con applicazione delle sanzioni previste.

Caparra, cos'è e normativa IVA

La caparra si suddivide in due categorie:
• caparra confirmatoria
• caparra penitenziale

La prima è regolamentata dall'art. 1385 Codice Civile e ha una funzione risarcitoria nel caso in cui un impegno assunto non venga poi portato a termine. In questo caso la parte inadempiente perde il denaro versato e, nel caso in cui il soggetto inadempiente sia colui che ha ricevuto la caparra, sarà tenuto al risarcimento di una quota pari al doppio. In pratica se il Signor Rossi si impegna a vendere un immobile al Sig. Bianchi, e quest'ultimo versa al proprietario 10.000 euro a titolo di caparra confirmatoria, si possono verificare tre diverse situazioni.

La prima è quella che vede la compravendita giungere a buon fine, e al momento della stipula del contratto l'acquirente verserà la differenza al venditore. La seconda prevede che il potenziale acquirente cambi idea e decida che non vuole più acquistare l'immobile del signor Rossi. In questo caso perderà i soldi versati a titolo di caparra. L'ultimo caso si verifica quando il proprietario dell'immobile ci ripensa, e decide di tenere il fabbricato per sé o di venderlo a un altro soggetto a un prezzo più vantaggioso. In questo caso dovrà restituire al signor Bianchi 20.000 euro.

La caparra penitenziale è invece regolata dall'articolo 1386 del Codice Civile e costituisce una sorta di "corrispettivo di recesso" stabilito convenzionalmente, che può essere previsto come diritto nel contratto. La somma di denaro o una quantità di altre cose fungibili vengono considerati il prezzo predeterminato per il diritto di recedere dagli obblighi contrattuali anche unilateralmente. Per quanto riguarda il corrispettivo valgono le stesse regole previste per la caparra confirmatoria, e se a recedere dal contratto è colui che l'ha versato l'altro ha il diritto di trattenerlo, mentre se l'inadempiente è colui che lo riceve sarà tenuto al risarcimento del doppio.

Appare evidente che, in entrambi i casi, la caparra ha titolo risarcitorio e non possono intendersi come corrispettivo per l'acquisto del bene o la prestazione del servizio. Tale istituto infatti è escluso dal campo di applicazione IVA e non deve essere fatturato. Sarà sufficiente una semplice ricevuta. Occorre però fare attenzione che nel contratto sia presente un accordo esplicito tra le parti, in mancanza del quale la somma versata deve essere considerata come acconto e soggetta alla legislazione IVA. Un caso particolare è rappresentato dalle operazioni in cui una somma, inizialmente versata a titolo di caparra, assume poi la natura di acconto, e non viene restituita alla controparte ma diviene parte del pagamento in una compravendita che va a buon fine. In tal caso è in quel momento che scatta l'obbligo di fatturazione IVA.

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